PIM eCommerce: 8 segnali che ti serve davvero

PIM eCommerce: 8 segnali che ti serve davvero

PIM eCommerce: 8 segnali che ti serve davvero

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PIM ed eCommerce, un connubio che spesso rappresenta una combinazione preziosa per raggiungere gli obiettivi di business mantenendo livelli di produttività elevati. Ecco quando!

PIM eCommerce: il ruolo del Product Information Management

In questo blog abbiamo parlato a più riprese di Product Information Management, mettendo anche a confronto software PIM, PXM e DAM. In questo articolo analizzeremo i principali segnali che indicano l’esigenza di adottare un software PIM.  

#1 Dati di prodotto sparsi

275. Seppur in calo, il numero medio di software presenti negli ecosistemi digitali delle aziende (Zylo) è molto alto e spesso genera un’elevata frammentazione delle informazioni.

In ottica PIM eCommerce, ciò si traduce in un’entropia generalizzata di fogli di calcolo, e-mail e note di vario tipo. Tipico contesto in cui – per popolare catalogo prodotti, PDP e PLP – serve molto tempo, si rischiano ritardi e non si ha mai la certezza che i dati siano corretti.

#2 Schede prodotto incoerenti

Un altro segnale che occorre una soluzione digitale per gestire i dati di prodotto.

Specie in contesti multi-canale, la gestione manuale delle informazioni (tramite data-entry o import/export) può facilmente dare vita a incongruenze, derivanti dal disallineamento di contenuti che rappresentano un medesimo prodotto in differenti touchpoint.

Fenomeno di cui ben 3 clienti su 4 si accorgono e che può alimentare resi o penalizzare la CX.

#3 Aggiornare i canali porta via molto tempo

Un altro mal di pancia ricorrente risolto dal binomio PIM eCommerce è relativo all’aggiornamento di dati, descrizioni e contenuti multimediali relativi ai prodotti, specie nei contesti in cui gli articoli ruotano spesso e sono soggetti a stagionalità, come nel caso di Grünland.

Grünland PIM & DAM Digital Ecosystem

#4 Schede prodotto incomplete

Per l’87% di chi acquista online la ricchezza informativa di una scheda prodotto è cruciale per prendere decisioni d’acquisto.

Esigenza che spesso stride nei contesti in cui l’assortimento è ampio e il tempo per generare, aggiornare e pubblicare descrizioni e contenuti multimediali è limitato, spingendo le aziende a una scelta tra il lancio di cataloghi in ritardo o a PDP parzialmente popolate.

#5 Gestire le traduzioni è molto oneroso

Nei casi in cui il business si sviluppi in più mercati geografici, anche tradurre le informazioni di prodotto è una questione che può rivelarsi annosa e cruciale in ottica di PIM eCommerce.

Senza una gestione centralizzata del processo, tradurre i dati può richiedere molto tempo e avvenire tramite ore e ore di lavoro manuale su molteplici fogli di lavoro, favorendo la proliferazione di disallineamenti e richiedendo, una volta completata la traduzione, ulteriori attività di caricamento.  

#6 Scalare su nuovi marketplace è complesso

Un approccio omnicanale, per quanto essenziale per il business, richiede sforzi di adattamento operativi importanti ai team marketing ed e-commerce delle aziende. 

Ogni marketplace, ad esempio, categorizza i prodotti in modo diverso, così come sono diverse le specifiche relativi ai contenuti multimediali (come colore di sfondo, dimensioni e proporzioni di immagini e video).

In assenza di un approccio digitale strutturato di catalog management, approdare su nuovi touchpoint può diventare una sfida molto complessa.  

Campagnolo Digital MarTech Ecosystem wSeeCommerce

#7 Assenza di controllo di versioni e revisioni

Un altro valido motivo per considerare una soluzione PIM per l’eCommerce è relativo al controllo. Nelle aziende di medie dimensioni, infatti, le persone e i team che arricchiscono il bagaglio informativo di prodotto sono numerosi.

Senza un tool per centralizzare e arricchire i prodotti, tracciare chi ha fatto cosa e, se serve, accedere alla versione precedente di un contenuto è nel migliore dei casi… molto difficile.   

#8 Assenza di controllo di versioni e revisioni

A parità di contenuto testuale, le pagine web che contengono un contenuto multimediale come un video hanno una probabilità dell’80% in più di convertire.

In questi casi, senza soluzioni digitali adeguate (su tutte, i software PXM, ancor più che i PIM) l’approvazione e la condivisione dei contenuti rischiano di rallentare a causa di continui scambi destrutturati tramite tool di file sharing (WeTransfer, Dropbox, e così via).  

PIM eCommerce… o software PXM?

Hai ritrovato la tua azienda in queste righe? Ci fa piacere, perché quelle che hai letto sono alcune delle sfide che noi di WARDA abbiamo aiutato a far superare ai nostri clienti.

Come? Con SeeCommerce, il nostro software PXM che evolve il tradizionale approccio PIM, spostando il focus dalla gestione del singolo dato a quella dei cataloghi del brand.

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Digital Asset Management (DAM): cos’è e quando serve

Digital Asset Management (DAM): cos’è e quando serve

Digital Asset Management (DAM): cos’è e quando serve

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Per cosa sta l’acronimo DAM (Digital Asset Management)? Che cosa significa gestire gli asset digitali? Come una piattaforma software DAM può fare la differenza? 

Digital Asset Management: cosa significa l’acronimo DAM

La gestione degli asset digitali (Digital Asset Management) è il termine ombrello che racchiude al suo interno l’insieme di attività aziendali relative ai contenuti multimediali.

In particolare, per asset digitali si intendono foto, video, audio e documenti; la loro gestione include flussi creativi, approvativi, organizzativi e distributivi (verso canali e stakeholder).

A cosa serve la gestione degli asset digitali

Con strategie di posizionamento, promozione e vendita sempre più orientate al web, ormai da tempo i brand hanno affermato la loro presenza online su molteplici canali, come account social, siti ed e-commerce proprietari, marketplace B2C e B2B, portali fornitori o app clienti.

Questi touchpoint sono accomunati dalla presenza di asset digitali.

Scatti fotografici di qualità, video emozionali ma anche manuali d’uso o branded podcast, consentono alle persone di ottenere informazioni, interagire tra loro, fare acquisti consapevoli.

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Gestire gli asset digitali permette di accelerare i processi interni di creazione, approvazione e condivisione, oltre che garantire una diffusione coerente e capillare di media di qualità verso l’esterno.

In estrema sintesi, governando i digital assets si elevano la produttività interna e la qualità della Customer eXperience di ogni utente.

Funzionalità di un software DAM, Digital Asset Management

La gestione degli asset digitali (Digital Asset Management), specialmente in contesti aziendali mediamente strutturati, viene affidata a tool chiamati DAM software.

Si tratta di soluzioni tipicamente cloud erogate in modalità Software as a Service (SaaS), che tra le principali funzionalità permettono di:

  • accelerare la creazione e l’approvazione dei contenuti: grazie all’assegnazione scadenzata di task creativi e di revisione a designer, fotografi e marketer, alla costruzione di flussi approvativi e al monitoraggio dei workflow;
  • organizzare gli asset digitali: archiviando la versione più aggiornata e quelle precedenti all’interno di spazi (es. cartelle) accessibili in modo controllato, tramite ruoli e permessi pre-configurati (Digital Rights Management)
  • distribuire online media aggiornati: in modo che ogni canale web sia allineato.

Team e settori che beneficiano di un software DAM

Va da sé: di un hub di contenuti multimediali beneficiano tutti i dipartimenti aziendali.

Considerata tuttavia la portata di processi quotidiani (di branding e di sales) in cui offre il proprio supporto, sicuramente l’area marketing e il team di vendita sono solitamente i gruppi di lavoro che più traggono vantaggi da una soluzione di Digital Asset Management.

Li seguono, a ruota, l’area IT – alla quale viene garantita una maggiore sicurezza del patrimonio informativo aziendale – e l’area Prodotto, con uno spazio in cui indicizzare e condividere bozzetti, prototipi e rendering.

In termini di settori, premesso che un software DAM offre benefici trasversali, è molto apprezzato da aziende dei mondi fashion & luxury, beauty, retail, arredo & design oltre a quello manifatturiero.

Vantaggi garantiti dal Digital Asset Management

Una strategia (e un software) di Digital Asset Management garantisce numerosi vantaggi:

  • è fonte di verità: un tool DAM centralizza asset digitali sparsi abbattendo il tempo di ricerca di contenuti (grazie anche ai metadati, che ne ampliano la portata informativa) e offrendo sempre certezza di reperire la versione più aggiornata
  • time to market: in un DAM i flussi di lavoro convergono e, molti di essi, vengono automatizzati, accorciando la filiera del contenuto e, di riflesso, abbattendo il tempo necessario per creare e distribuire catalogo prodotti, PDP e PLP
  • brand consistency: un DAM software garantisce che ogni stakeholder (PR, agenzie, utenti web, follower social, clienti B2B, partner commerciali, …) venga raggiunto dalla versione perfetta (e coerente in termini di brand image) di un file.

Si tratta di benefici tangibili per le aziende, come testimonia il continuo incremento del settore del Digital Asset Management e dei software DAM.

Dati sul mercato dei DAM software

Il ruolo strategico del Digital Asset Management è confermato dall’incessante crescita annuale del mercato globale dei DAM software. 

Il fatturato generato dal Digital Asset Management nel 2024 ha superato i 4,5 miliardi di dollari (erano 3,9 nel 2023); stando alle previsioni, nel 2032, sarà 16,1.

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Numeri a parte, la tendenza è più che comprensibile considerati – oltre ai dati citati in apertura – un paio di fattori strettamente connessi al Digital Asset Management.

In primis, l’inarrestabile trasformazione digitale delle aziende a caccia di maggiore produttività, tema caldo specie per le imprese italiane, come evidenziato da Istat.

Nel report ICT 2024, sale infatti la quota di imprese con investimenti programmati in tecnologie cloud nel biennio 2025-26 (29% vs 26% quelle che lo hanno fatto tra il 2021 e il 2024); trend simile anche per le tecnologie di supporto alla vendita online (22% vs 15%).

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A impattare positivamente sul mercato del Digital Asset Management, inoltre, è l’adozione sempre più capillare di tecnologie di intelligenza artificiale e, in particolare, di quella generativa, di testi ma anche di foto, video, audio.

Trend che segnerà un innegabile incremento di asset digitali in circolo, nel web e all’interno delle organizzazioni; in particolare, come conferma McKinsey, proprio nei team più coinvolti nei processi di Digital Asset Management: Marketing, Sales, Product Development e IT.

Perché andare oltre il DAM con un PXM

Le aziende più virtuose stanno andando addirittura oltre il Digital Asset Management.

Un DAM software, come detto, si focalizza sugli asset digitali, adottando quindi un punto di vista interno all’organizzazione. Qualcosa di simile a quanto fatto dai tool di Product Information Management, in cui il focus è relativo ai dati di prodotto.

Si tratta di una visione efficace, senza dubbio, ma parziale.

Da un po’ di tempo a questa parte, non a caso, il punto di vista si sta spostando verso l’esterno delle organizzazioni, verso il cliente e, in particolare verso l’esperienza di prodotto.

Come? Con le soluzioni di Product eXperience Management (PXM software), le quali combinano funzionalità DAM e PIM, moltiplicando i benefici per l’azienda e riducendo i costi IT, grazie a una semplificazione dello stack di software dell’azienda.

Alcune funzionalità chiave di un software PXM

Oltre a funzionalità di Digital Asset Management della sezione Media Library, SeeCommerce è un PXM software perché sposta il focus dal singolo contenuto (o dato) verso i cataloghi e l’interazione con gli utenti web (siti, e-shop, marketplace).

Nel concreto, i dati di un prodotto e tutti i contenuti multimediali che lo rappresentano convergono in un’unica soluzione, azzerando silos e costi per integrare DAM e PIM. 

 

In particolare, sono numerose le funzionalità che consentono di andare oltre un archivio centralizzato di contenuti multimediali del classico software di Digital Asset Management.
Eccone alcune:

  • Associazione prodotto-contenuti e Product Content Syndication.
    I contenuti sono automaticamente correlati ai dati dei prodotti che rappresentano, così la pubblicazione e l’aggiornamento di cataloghi e schede prodotto sono istantanee (e ad altissime prestazioni, grazie alla Content Delivery Network)

 

  • Dynamic Asset Transformation.
    Un software PXM adatta dinamicamente ogni contenuto multimediale, in base ad esempio a formato, dimensioni, colore di sfondo richiesti dai singoli canali web, abbattendo il lavoro di ottimizzazione manuale e garantendo una CX di prestigio

 

  • Condivisioni a partner.
    Non solo i touchpoint B2C beneficiano di un approccio di tipo PXM, ma anche i partner B2B e, in generale, gli stakeholder interni ed esterni all’organizzazione. Come? Con varie funzionalità, una su tutte è Brand Portal.

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Passaporto Digitale dei Prodotti: le nuove regole UE

Passaporto Digitale dei Prodotti: le nuove regole UE

Passaporto Digitale dei Prodotti: le nuove regole UE

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Da qui al 2030 entrerà in vigore il Regolamento UE ESPR il quale, tra le varie misure, include il Passaporto Digitale dei Prodotti (o DPP).

Cos’è il Digital Product Passport? Quali settori riguarda? Quali impatti porterà con sé? In questo articolo facciamo il punto della situazione. 

Passaporto Digitale dei Prodotti: cos’è il DPP

Il Passaporto Digitale dei Prodotti è un registro digitale contenente una serie di informazioni relative alla catena del valore di un articolo.

A breve, le aziende europee dovranno accompagnare ogni prodotto con un dettagliato elenco di dati relativi al suo ciclo di vita, dalla produzione al riciclaggio, passando per la riparabilità e lo smaltimento

Digital Product Passport: come funziona?

La fruizione dei DPP sarà più chiara dal momento in cui vedranno la loro piena applicazione ma è probabile che per accedere al passaporto digitale di un prodotto si sfrutteranno standard già presenti nel mercato come i codici QR.  

Una volta scannerizzato, il codice restituirà al consumatore un insieme di dati di dettaglio relativi a materiali, composizione, ciclo produttivo, variabili da settore a settore. 

A cosa serve il Passaporto Digitale dei Prodotti

Per comprendere lo scopo del passaporto digitale prodotto va detto che è parte del regolamento ESPR, approvato nella primavera 2024.

ESPR sta per Ecodesign for Sustainable Product Regulation, regolamento che si colloca nell’ambito del Green Deal, pacchetto di iniziative UE per ridurre di almeno il 55% le emissioni entro il 2030.

Il focus di ESPR è estendere la progettazione ecocompatibile alla maggior parte dei prodotti presenti sul mercato UE per ridurre l’impatto ambientale del loro ciclo di vita, come già oggi avviene per gli elettrodomestici.

ESPR, inoltre, introduce nuovi requisiti e standard in merito a durabilità, riparabilità, efficienza energetica e riciclaggio degli articoli, al fine di contrastare l’obsolescenza programmata e favorire la circolarità.

In questo contesto, il Passaporto Digitale dei Prodotti fungerà da punto di riferimento informativo:

  • per le aziende, che disporranno di una leva di trasparenza oggettiva e concreta
  • per i consumatori, che potranno operare scelte più consapevoli e verdi
  • per le autorità – che ricevendo i dati per esporli nei propri portali – saranno facilitate nei controlli e aumenteranno la fiducia dei consumatori.

… ok ma la concorrenza?

In effetti, nel libero mercato, i doveri di trasparenza delle aziende possono collidere con la tutela della concorrenza.

L’ampia portata informativa del DPP, potrebbe compromettere la riservatezza di dati strategici, come quelli relativi ai flussi di produzione e approvvigionamento.

Per questo motivo, il Legislatore ha chiarito che di tutte le informazioni inserite nel DPP solo una parte saranno accessibili ai consumatori, mentre altre lo saranno solo da soggetti con “un interesse legittimo”, stabiliti dal Regolamento stesso o dalla Commissione.

Passaporto Digitale dei prodotti esempi di dati e informazioni

Quando sarà obbligatorio il Digital Product Passport?

Prima dell’entrata in vigore dei DPP sono previsti almeno due passaggi:

  • la Commissione Europea presenterà, nel 2025, un piano di lavoro triennale, stabilendo le tipologie di prodotti coinvolte dal regolamento
  • definite le tipologie di prodotti, per ciascuna di esse verrà realizzato un atto delegato, che sancirà a quali dati dovrà attenersi ogni settore

In generale, diventerà obbligatorio dal 2027 per gran parte dei comparti produttivi, anche se non mancano le eccezioni.

Passaporto digitale dei prodotti: si parte dalle batterie

Da una prima analisi della Commissione Europea, le categorie di prodotti interessate per prime dalla novità Digital Product Passport parevano essere: batterie, tessile, elettronica ed edilizia.

Ad oggi, per una di esse, l’obbligo è già fissato.

Dal 1° febbraio 2027, infatti, le aziende di batterie dei veicoli elettrici dovranno prevedere – per ogni articolo di capacità maggiore di 2kWh – un DPP con informazioni su durabilità, prestazioni e impatto sulla CO2.

L’UE ha istituito un registro elettronico unico delle batterie, nel quale convergeranno i vari passaporti digitali dei prodotti, per finalità di vigilanza.

Quali saranno i prossimi settori obbligati al passaporto digitale dei prodotti?

Un nuovo studio della Comissione Europea realizzato a fine 2024 dal Joint Research Centre, ha individuato le prossime categorie merceologiche per le quali è probabile scatterà l’obbligo del passaporto digitale prodotto:

  • tra i prodotti finali: abbigliamento, tessile e calzature, mobili, pneumatici, prodotti per la cura e l’igiene personale e della casa, cosmetici, giocattoli, vernici, materassi;
  • tra i semilavorati: prodotti chimici di base, ferro, acciaio, plastica e polimeri, vetro, pasta di legno e carta.

In generale, è probabile che il Digital Product Passport – proprio per i suoi obiettivi di capillarità – verrà esteso a qualsiasi altro settore merceologico, con poche esclusioni (che pare riguarderanno articoli alimentari, mangimi, veicoli e farmaci).

Su quale tecnologia si baserà il Digital Product Passport?

I rumors sono concordi nel ritenere che la tecnologia che consentirà l’affermazione del DPP sarà la blockchain, nota per offrire un’infrastruttura digitale che garantisce sicurezza, trasparenza e immutabilità di ogni record immesso dai vari attori di una catena informativa.

A proposito, il passaporto digitale nella moda di lusso esiste già

Il Fashion, in particolare quello che occupa la fascia più alta del mercato, è da sempre precursore delle evoluzioni digitali di maggior rilievo. 

Non sorprende che anche in questo frangente si sia mosso in anticipo, attraverso un consorzio e un progetto ad adesione volontaria denominato Aura Blockchain.

La piattaforma, sviluppata da colossi del calibro di LVMH, OTB, Cartier e Gruppo Prada, offre una tracciabilità che mette al riparo i consumatori da contraffazioni.

Tod’s, ad esempio, ha inserito nelle sue Di Bag un tag NFC (Non-Fungible Token) che sfrutta la blockchain del progetto Aura per restituire al cliente – che scansiona col suo smartphone – dati che attestano l’autenticità e la provenienza dei materiali della borsa.

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Il 49% dei consumatori sa già che cos’è il passaporto digitale del prodotto

Proprio il fashion risulta essere il settore i cui consumatori sono più pronti.

Una ricerca riportata da Forbes evidenzia come metà dei clienti del settore conosca il Digital Product Passport, i quali lo ritengono uno strumento utile di attestazione di autenticità del marchio (56%).

DPP: alle aziende serviranno software ad hoc?

La gestione del DPP è strettamente connessa a quella delle informazioni di prodotto e, in particolare, alla loro centralizzazione, arricchimento e distribuzione.

In vista del nuovo obbligo, è evidente che le aziende destrutturate dal punto di vista del Product Information Management potranno cogliere la palla al balzo per dotarsi di software PIM – o meglio ancora – di software PXM.

Le aziende che invece hanno già intrapreso percorsi di digitali del genere, dovranno accertarsi che i tool in uso supportino la gestione e la propagazione dei dati dei DPP

La nostra piattaforma, ad esempio, è SaaS, offre un data model iper-flessibile e, grazie alle API, distribuisce contenuti (dati e media) di prodotto su qualsiasi canale. Caratteristiche fondamentali per ottemperare ai futuri obblighi del DPP.

Da obbligo normativo a opportunità di business

I DPP sono molto più che un obbligo normativo. 

I Passaporti Digitali di Prodotto, infatti, possono essere uno strumento utile per condividere informazioni e documenti che arricchiscono l’esperienza di prodotto, attraverso attestazioni certificate di autenticità di qualità di un brand.

Si tratta inoltre di uno strumento democratico per promuovere azioni di sostenibilità, perché i dati viaggiano su un circuito garantito da terzi, rendendo più facile individuare fenomeni di greenwashing

Ultimo ma non meno importante, può favorire la vendita di servizi o prodotti aggiuntivi quali la riparazione, lo smaltimento, articoli per la manutenzione e la riparazione.

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Product eXperience Management: cos’è il PXM?

Product eXperience Management: cos’è il PXM?

Product eXperience Management: cos’è il PXM?

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Nelle prossime righe approfondiremo il concetto di Product eXperience Management; scioglieremo l’acronimo PXM, spiegando cosa si intende per Product eXperience e quali sono i software migliori per la gestione dell’esperienza prodotto.

Cosa significa Product eXperience?

Il termine Product eXperience (PX) è una nicchia del più ampio concetto di User eXperience (UX).

Mentre quest’ultima comprende la galassia di relazioni di un utente con l’intera organizzazione (prodotti, processi, persone, brand), la Product eXperience si focalizza sulle interazioni di prodotto dei clienti lungo il Customer Journey.

Cosa si intende per Product eXperience Management

Con PXM, acronimo di Product eXperience Management, ci si riferisce alla gestione dell’esperienza prodotto, cioè l’insieme di attività atte a rendere l’esperienza cliente (customer experience):

  • completa: ricca cioè di dettagli necessari alla valutazione e all’acquisto
  • consistente: coerente su qualsiasi touchpoint, in ottica omnicanale
  • ingaggiante: dinamica, in grado di coinvologere ogni utente.
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Secondo Forrester, una CX di qualità moltiplica di 7 volte la fedeltà alla marca e funge da volano per il passaparola positivo (Word of Mouth in gergo), il quale stando a Nielsen nel 92% dei casi impatta positivamente nella propensione all’acquisto dei nuovi clienti.

A proposito di esperienza web, inoltre, va segnalato che il 2025 sarà un anno caldo anche sul fronte accessibilità, con l’entrata in vigore dell’European Accessibility Act.

La gestione dell’esperienza prodotto nell’era dell’omnicanalità

Fino a qualche tempo fa, quando un potenziale cliente si sarebbe potuto accontentare di trovare un prodotto online, software come DAM e PIM sarebbero potuti bastare.

Rispettivamente Digital Asset Management e Product Information Management, questi software centralizzano e distribuiscono media e informazioni di prodotto. 

Tuttavia, in un contesto omnicanale, in cui fisico e digitale si intrecciano senza sosta, agli utenti non bastano brand presenti, ma si aspettano coerenza, coinvolgimento e personalizzazione.

Ecco che alle più tradizionali attenzioni dei retailer verso l’esperienza in store – come le strategie di visual merchandising e i progetti di percorsi in negozio – si aggiungono aspetti quali la qualità di PDP e PLP di e-commerce e marketplace o la condivisione rapida di cataloghi prodotti digitali B2B.

In altre parole, tool come DAM e PIM che pubblicano dati o foto non bastano più.  

I software PXM: tool di Product eXperience Management 

I software PXM garantiscono il controllo omnicanale della CX, andando oltre DAM e PIM.

Essi, infatti, permettono di governare asset digitali e informazioni di prodotto da un unico tool e, soprattutto, spostano il focus dai processi dell’azienda (come fanno DAM e PIM con la creazione e pubblicazione di media e dati) al cliente (concentrandosi sulla qualità dell’esperienza tout-court).

Concretamente, un software di Product eXperience Management agisce su tre fronti:

  • data and media centralization: le informazioni e i contenuti multimediali di prodotto (ma anche di brand) convergono in un’unica piattaforma, in cui vengono associati tra loro in automatico;
  • product content syndication: i cataloghi digitali e le schede prodotto vengono aggiornate in tempo reale in modalità omnicanale;
  • catalogs and PDP experience: oltre alla pubblicazione, le schede prodotto sono arricchite da formati interattivi (es. 3D), girano alle massime performance (anche in caso di picchi di traffico) e viene ottimizzata in modo dinamico l’esperienza di ogni utente in base al canale in cui si trova.

Digital Shelf Optimization: benefici del PXM per il B2C

In ottica B2C, un software di Product eXperience Management opera la cosiddetta Digital Shelf Optimization, ovvero l’ottimizzazione di vetrine e scaffali web del brand.

Tra i benefici in chiave business-to-consumer che un PXM software garantisce ai brand vi sono:

  • migliore posizionamento SEO: grazie alla ricchezza di informazioni (anche multi-lingua) e all’ottimizzazione dei media che rendono più leggere le pagine web
  • riduzione dei resi: maggiori dettagli minimizzano le possibilità di acquisti errati
  • time to market: si accelerano tutti i flussi di creazione, organizzazione e pubblicazione 
  • brand consistency: perché un PXM aggiorna ogni canale web all’istante e in modo capillare, senza data entry manuale e i possibili errori che possono derivarne.

Campagnolo and SeeCommerce Success Case

Store, dealer e sales: benefici del PXM per il B2B

Una soluzione di Product eXperience Management favorisce anche l’esperienza dei clienti B2B.

In primis, grazie alla centralizzazione dei contenuti relativi ai prodotti, gli agenti sales dispongono di una fonte di verità unica, aggiornata in tempo reale e costantemente allineata alle informazioni condivise dagli altri team, come ad esempio marketing e prodotto.

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In questo modo, la relazione tra agente di vendita e cliente B2B diventa più rapida ed efficace.

Inoltre, specie se in grado di supportare la creazione di Brand Portal personalizzati, un software PXM può rendere ancora più agile e di valore l’esperienza di altri partner, come i distributori B2B.

Con i portali di brand, infatti, si offre anche un accesso esterno sicuro e costante al patrimonio di dati e media di prodotto, rendendo prive di interruzioni le iniziative promozionali di ogni stakeholder. 

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Brand Portal: cos’è, a cosa serve e 4 esempi

Brand Portal: cos’è, a cosa serve e 4 esempi

Brand Portal: cos’è, a cosa serve e 4 esempi

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In questo articolo faremo luce sulla definizione di Brand Portal, chiarendo cos’è, a cosa serve, come funziona, quali benefici garantisce e analizzando qualche esempio pratico di Portal Brand.

Cos’è un Brand Portal?

Un Brand Portal è un portale web attraverso il quale un’azienda condivide informazioni e materiali relativi al suo (o ai suoi) brand con stakeholder prevalentemente esterni all’organizzazione.

Nella maggior parte dei casi un “portal brand” (o Brandportal) è un hub cloud popolato da contenuti multimediali a cui ci si può collegare tramite l’inserimento di credenziali per visualizzare e scaricare foto, video, manuali, template e brand guidelines messe a disposizione dall’azienda.

I benefici di un portale di brand

Offrire ai propri partner uno spazio cloud dal quale fruire dei materiali di brand ha benefici sia all’interno sia all’esterno dell’organizzazione. 

Da un lato, i team di brand, marketing e comunicazione, riducono il tempo speso e le interruzioni derivanti dalle continue richieste di materiali aggiornati avanzate da sales (agenti B2B) o da retailer.

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La rete vendita è autonoma nell’accesso ai contenuti necessari per promuovere e vendere, vedendo così migliorate la sua esperienza, le performance di vendita e la coerenza di brand omnicanale.

In generale, inoltre, la soluzione aumenta il controllo del marchio, che in un istante può verificare gli asset in circolo, aggiornarli o revocarli, condividendo i file sempre al riparo da accessi indesiderati.

Quali sono le funzionalità essenziali di un Brand Portal?

Trattandosi di un repository di file, una delle caratteristiche più comuni di un Brand Portal è la flessibilità di organizzazione degli spazi, solitamente un’alberatura digitale di cartelle, alle quali vengono assegnati diritti di accesso diversificati agli utenti (es: solo lettura, download, etc.).

Fondamentali, ai fini di un’adeguata esperienza utente, risultano essere motore di ricerca, filtri e ordinamenti, che permettano di ritrovare all’istante ciò di cui si ha bisogno. 

L’identità visiva di un portal brand, inoltre, solitamente è personalizzabile con header, colori e loghi, che accentuano positivamente la Brand Experience degli utenti che navigano il portale.

Il ruolo chiave dell’integrabilità per un portale di brand

Come spesso accade in ambito IT, anche per quanto riguarda i Brand Portal uno degli aspetti cruciali riguarda l’integrabilità. Da questo punto di vista possiamo distinguere tre portali di brand:

  • Brand Portal non integrati
  • Brand Portal integrati a un software DAM
  • Brand Portal integrati a una soluzione di Product eXperience Management (DAM+PIM).

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Un Brand Portal non integrato è un repository di file che pur assolvendo all’esigenza di condivisione di asset digitali, è distaccato dallo stack IT e, in quanto tale, va alimentato e aggiornato a mano.

Diversa la situazione invece per un Brand Portal integrato a un software DAM, il quale popola in automatico il portale con la versione più aggiornata di ogni contenuto e dei relativi metadati che si desidera condividere all’esterno, evitando ai team marketing doppi caricamenti manuali. 

DAM sta per Digital Asset Management, software con cui le aziende gestiscono l’organizzazione, la condivisione interna, l’approvazione e la distribuzione web di asset digitali come foto e video.

I vantaggi di un Brand Portal integrato a un software PXM

Un Brand Portal integrato a un software PXM (Product eXperience Management) fa indubbiamente la differenza, sia da un punto di vista interno che da un punto di vista esterno all’organizzazione.

Un PXM, infatti, combina funzionalità dei software DAM a quelle dei software PIM (Product Information Management). Ciò significa che un Brand Portal integrato a un PXM distribuisce in automatico contenuti multimediali, i metadati e gli eventuali dati del prodotto che rappresenta.

In altre parole, l’azienda azzera il tempo speso per condividere sia gli asset di brand sia quelli relativi ai cataloghi prodotti, moltiplicando l’agilità di più flussi di business B2B. 

4 esempi concreti di Brand Portal

Noi di WARDA affianchiamo da anni diverse eccellenze mondiali.

SeeCommerce PXM, combina funzionalità DAM e PIM e integra in modo nativo uno o più Brand Portal (Touchpoints) con cui distribuire in tempo reale brand assets, dati e cataloghi di prodotto.

 Un Brand Portal è uno strumento flessibile, adatto a scopi molto differenti tra loro. Ecco quattro esempi di come lo impiegano alcuni dei nostri clienti.

1. B2B Trade Portal

Campagnolo, tra i più prestigiosi brand globali di ruote e gruppi di alta gamma per biciclette, ha implementato ben due Brand Portal con SeeCommerce PXM. 

Il primo è un Trade Portal, sistema attraverso il quale mette a disposizione dei suoi distributori, un portale sempre aggiornato dal quale visualizzare e scaricare immagini di campagne, locandine, video promozionali e informazioni relative ai suoi prodotti.

Campagnolo and SeeCommerce Success Case

2. Press Portal

Un secondo esempio di applicazione dei portali di brand è quello del Press Portal.

Tornando all’esempio di Campagnolo, il brand lo utilizza per condividere in tempo reale con PR e i giornalisti di ogni testata brand assets sempre aggiornati di qualsiasi articolo in catalogo.

3. B2B Agent Portal

Diversi clienti sfruttano Touchpoints (le funzionalità di Brand Portal di SeeCommerce) per plasmare un portale da cui gli agenti accedono on demand a un vero e proprio catalogo prodotti.

Perfetto per supportare con flessibilità e rapidità le operation di business, un Agent Portal azzera ritardi e disallineamenti tra brand e vendita, potenziando la Brand eXperience e performance sales.

4. Heritage Portal

Un altro esempio è il caso di Vibram, leader mondiale nello sviluppo e nella produzione di suole in gomma ad alte prestazioni, e il suo Heritage Portal.

Sfruttando SeeCommerce PXM, il brand ha costruito un portal brand di tipo heritage, in cui ha archiviato, classificato e reso ricercabili oltre 5.000 contenuti multimediali storici dell’azienda

Vibram Digital Portal Heritage by SeeCommerce

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7 trend 2025 sul Product Information Management

7 trend 2025 sul Product Information Management

7 trend 2025 sul Product Information Management

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Nei prossimi undici mesi il valore globale di vendite online toccherà i 7 trilioni di dollari (Statista). 

A fronte di questa crescita, quali sono i trend di acquisto da monitorare con maggiore attenzione e che saranno più rilevanti per chi si occupa di Product Information Management?

Okay i PIM trend… ma sai già cos’è il Product Information Management, vero?

In questo blog abbiamo già affrontato da un punto di vista teorico il tema della gestione delle informazioni di prodotto (Product Information Management), spiegando cosa si intende con l’acronimo PIM e analizzando anche il funzionamento dei PIM software.

Ti consigliamo di leggere l’articolo sul PIM se vuoi approfondire l’argomento prima di passare ai trend 2025 di gestione delle informazioni di prodotto.

#1 Occhio ad Africa e America Latina

Per volumi e valori, USA, UE e Cina restano leader dello shopping online; ma la geografia del settore sta cambiando. E in modo repentino.

Tra il 2020 e il 2023, infatti, le vendite web in Africa sono aumentate del 40% e, nell’arco di un lustro, toccheranno la cifra record di 75 miliardi di dollari. Tendenza analoga anche per il Sud America, che lo scorso anno ha superato la soglia di 100 miliardi di dollari.

Nello specifico, l’e-shopping in paesi come Brasile e Messico sta galoppando con una crescita annua del 25%. (Dati Statista).

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#2 Gli acquisti mobile non si fermano più

Stando alle proiezioni eMarketer & Statista, il valore di acquisti online effettuati da mobile negli USA nel 2025 sarà il doppio di quello misurato nel 2021 (710,4 miliardi vs 362,1).

Ogni 100 acquisti sul web 68 avvengono da smartphone, meno di un terzo da desktop o tablet.

(Statista).

#3 Lo shopping web B2B cresce in doppia cifra

Gli acquisti digitali crescono a tutto tondo, B2B incluso.

Da qui ai prossimi due anni è previsto un aumento del 12.2% annuo, passando dai 26,6 miliardi di vendite online B2B del 2024 ai 37,1 del 2027. Focalizzandoci sull’UE, il trend non cambia, con una previsione di +11% rispetto all’anno precedente.

 (Lo scenario e i trend del B2B Digital Commerce, NetComm, 2024).

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#4 Il Social Commerce volerà su TikTok

Proseguiamo la nostra carrellata dei PIM trend parlando di Social Commerce.

Se ne parla da tempo e pare a ragion veduta – nonostante le frenate di Meta sul tema – dato che su TikTok i social buyers nel 2026 saranno 39,5 milioni, segnando un +67% rispetto al 2022 (Statista).

Un dato da tenere a mente, soprattutto considerata la diffusa tendenza dei competitor ad emulare algoritmi e funzionalità del social cinese.

#5 La sostenibilità farà la stessa fine dei piani DE&I?

L’attuale caduta degli investimenti in progetti e iniziative in Diversity Equity & Inclusion (DE&I) dei colossi USA ha confermato i timori che, dietro molte attività d’impresa a scopo sociale si celasse un opportunismo che, secondo molti, riguarda anche il greenwashing.

Per greenwashing si intende un ambientalismo di facciata, attuato tramite strategie di comunicazione da alcune aziende, al fine di plasmare un’immagine falsamente (o esageratemente) ecologista.

I consumatori, però, continueranno ad essere sensibili sul tema e le vendite di seconda mano, complice anche l’inflazione, non vanno sottovalutate.

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#6 La realtà aumentata accelera il passo

Quest’anno il contributo dell’Augmented Reality (AR) alle vendite retail globali per qualcosa come 36 miliardi di dollari.

Non è un caso, dato che il 4 consumatori su 10 sono disposti a pagare di più potendo testare i prodotti da casa con funzionalità di AR.

#7 Aumenta ancora il Buy Now Pay Later 

BNPL è l’acronimo che sta per Buy Now Pay Later, modalità di pagamento dilazionata che nel 2023 è stata scelta da oltre il 40% dei consumatori web.

Il giro d’affari, a fine 2024, pare abbia sfiorato la cifra record di 95 miliardi.

In particolare, nel mercato italiano le richieste BNPL nel 2024 sono aumentate del 34,2% rispetto al 2023, trainate dai consumatori della generazione Z e dal Sud Italia (+43% entrambi i cluster), dal genere femminile (circa il 60% del totale). (Dati resi disponibili dal Rapporto sul Credito Italiano).

 

Per non parlare dell’AI

Vogliamo evitare di ripetere ciò che quasi sicuramente leggerai da mesi ovunque ma un accenno all’intelligenza artificiale è d’obbligo.

L’AI non solo sta già impattando i processi di gestione dei dati di prodotto, ma spalancherà presto a scenari inediti anche per i clienti di e-commerce e marketplace.

Lo scorso novembre, ad esempio, Perplexity ha lanciato un AI shopping assistant che guida gli acquirenti tra centinaia di prodotti sul web.

Cavalca il presente e anticipa il futuro con SeeCommerce

Prima di salutarti, vogliamo ricordarti che un software PXM come SeeCommerce può rivelarsi prezioso per anticipare e governare queste e molte altre sfide legate ai PIM trend e, in generale, al Product Information Management.

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